Andò uno alle celle dell’Api, quando il Padrone non v’era, nè le Api, e prese il mele. Come il Padrone tornò, e vide le celle vuote, stava ammirato del poco mele, che v’era, e guardava quanto ne mancava. Tornando le Api da pascere quando videro il Padrone alle lor celle, lo ferirono coi loro artigli. Il Padrone si voltò ad esse dicendo: O mali animali, quello, che vi ha rubato il mele, avete lasciato andar sano, e salvo, e me che ho cura di voi m’offendete? »
Due Rane abitavano vicine l’una all’altra, ed una pasceva in un pantano fondo e di lungi della strada: l’altra nella strada, ove era un poco d’acqua. Quella che stava nello stagno ammonì quest’altra, che venisse a se, che più sicuramente avria potuto mangiare. Quella non la volle obbedire, dicendole, che aveva in pratica lungo tempo quel luogo, tanto passò un carro, che la pestò tutta. Sentenza della favola La favola dimostra, che gli uomini, che hanno usanze cattive, più tosto muojono, che mutar natura. »
Due andarono per viaggio insieme, e un di loro trovò un’accetta, e quell’altro ammoniva il compagno, che non dicesse: Ho trovato, ma abbiamo trovato. Quindi a un poco di tempo quelli ch’avevano perduta l’accetta, ‘gli assaltarono. Quello che l’avea avuta disse al compagno. Siamo morti; ed egli rispose: Dì, son morto, perchè quando trovasti l’accetta dicesti: “‘ho trovata, e non l’abbiamo trovata. Sentenza della favola La favola significa, che quelli, che non sono stati partecipi del bene, nè del male, non sogliono esser fermi amici. »
Un Villano, cavando la terra trovò una quantità d’oro, ed ogni giorno coronava la terra per quel piacere, ch’egli n’aveva avuto. La fortuna apparendogli, gli disse: Olà, perchè attribuisci tu alla terra i miei doni, quali io t’ho dati per arricchirti? Se si muta il tempo, talchè l’oro vada in altra mano, allora lo so, che tu accuserai la fortuna. Sentenza della favola La favola ammaestra, che si deve conoscere il benefattore, ed a quello essere obbligato. »
Una donna incantatrice prometteva di levar l’ira degli Dei, acciocchè di questo guadagnasse. Alcuni l’accusarono come empia, e la fecero condannare a morte. Uno vedendola menare alla morte disse: Tu che solevi mitigar l’ira degli Dei, perchè non hai saputo mutare il consiglio dell’omini. Sentenza della favola La favola dinota, che molti promettono gran cose, e non possono far le piccole. n. 062, p. 131 »
Una Vedova aveva certe fantesche, le quali solevano ogni notte destarsi al cantar del Gallo. Onde essendo faticate assai, furono tutte di parere d’ammazzare il Gallo domestico, come quello, che la notte destava la padrona. Come ebbero fatto questo gli avvenne maggior male, perchè la padrona non sapendo l’ora del Gallo, si levava più presto del solito. Sentenza della favola Questa favola dimostra, che a molti uomini i consigli loro sono causa de’ loro mali. »
Un figliuolo d’un Villano cuoceva al fuoco delle Lumache, e sentendo, che quelle cantavano, disse. O ribadli, e cattivi animali, s’abbruciano le vostre case, e voi cantate. Sentenza della favola Questa favola dinota, che, ciò che si fa fuori di tempo è vituperoso. n. 060, p. 130 »
La Civetta pendendo da una finestra, la Nottola le dimandò la causa, perchè il giorno stesse quieta, e la notte cantasse. Quella rispose, che questo ella faceva, perchè un giorno cantando fu presa. Allora la Nottole disse: Adesso non importa, che ti sii cauta perchè non hai alcuna utilità, ma questo dovevi fare avanti, che fossi presa. Sentenza della favola La favola significa, che nelle avversità è inutile la penitenza. »
La Rondinella, e la Cornacchia combattevano insieme della bellezza: la Cornacchia disse: la tua bellezza solamente fiorisce la Primavera, e la mia dura ancora il Verno. Sentenza della favola La favola dinota la forza del corpo essere migliore, che la bellezza. n. 058, p. 130 »
Un Uomo ricco comperò un Moro, e pensando quel color negro esser per negligenza di quello, tentò con ogni via di lavarlo, ma non gli potè mutar mai colore. Sentenza della favola La favola significa, la natura di prima star sempre ferma, e ch’egli tentò l’impossibile. n. 057, p. 119 »